Luigi Marsiglia (italiano)

FUGA NELLA FORMA, FUGA DALLA FORMA



È con piacevole sorpresa che assistiamo al passaggio della forma in queste ultime realizzazioni, ultime secondo i nostri parametri temporali, di Giorgio Conta. Nella sensatezza plastica: sensatezza in quanto predisposta al tocco cognitivo, alla carezza fisica di chi si pone dinanzi all’opera; e nel richiamo di un concetto filosofico ed esistenziale scavato e ribadito nella rappresentazione o semplicemente, per quanto difficile, in un titolo; e, ancora, dall’avanzare – come fondale prospettico oppure come centro dinamico della scultura – di un sommovimento quasi tellurico, ondeggiante, astratto-geometrico da cui principia la forma, la forma altra, quindi la figura. Da tutto questo nasce la piacevole sorpresa di un corpus nuovo, organico, in bilico perché trasmutante verso qualcosa di differente e di “contiano”. Affermo ciò poiché conosco la natura riflessiva dell’autore; il suo amore (amor/amoris, declinandolo alla latina) per il jazz e il silenzio, ripresi entrambi in un ciclo di dipinti dedicato agli assoli di band acrobatiche sul trapezio del pentagramma dell’improvvisazione, e in una serie sempre pittorica dedicata alla montagna. E poi la scultura, questa scultura. Enigma, personificazione del tempo e della sottigliezza di una forma che si sottrae alla figura, merito pure di un panneggio che tutto copre per discoprire l’impenetrabilità umana, punto di partenza di un percorso di sperimentazione geometrica, tra spiritualità e atmosfera, nucleo e diramazioni, materialità corporea e presenza terrena evaporante. Un corpo che non c’è in quanto già essenza. Come quel piede evocativo che sbuca (spunta) dal basamento, distaccato dalla probabile caviglia e gamba. Così la colonna solidamente liquida, increspata e longilinea che divide unendo la coppia di Insieme: lei con il ventre gravido protetto dalla mano, la mammella destra evidente mentre al posto della sinistra si affaccia sul petto una lacerazione mortale, la ferita insinuante del tempo, e il braccio parziale, trasparente rispetto al pilastro/quinta immobile. Lui che incede affusolato, sommerso dagli abiti moderni e privo di piedi al pari della donna, la sua donna.

E Maternità, dove la figura femminile appare sorretta dal fluido ascensionale, la colonna ondificata o l’onda incolonnata sovrastata dal nascituro, vita germogliante che da quel fluido sembra essere stata concepita, prima di essere tratta.

Il panneggio, nella figura altrettanto femminile richiamante Manzù per la statica posa calibrata, e quasi androgina, con la capigliatura riportata solo da un lato, acquista la morbidezza di un vello e la compattezza flessibile di un metallo sconosciuto, arcano, extraplanetario, d’impatto angelico nonostante la sottrazione delle ali e l’impianto terrestre. Poi la figura seduta silenziosa, simile a una dea, che si distingue ancora una volta per il piede germinante all’esterno del piedistallo: qui viene evocato – poiché assente – il resto dell’arto, frammento invisibile o fantasma rispetto all’esserci serrato di quel corpo materiale (mater/materia: il magma che, dal basso, costruisce e comprende e sospende in alto la figura assisa). Il volto fanciullesco pieno di grazia più che aggraziato, quieto ed eterno, sottratto allo scorrere implacabile sia degli orologi sia della doppia falce di Chronos.

Ma è l’uomo stante, vangiano, a stabilire un punto di approdo e di avvio verso il nuovo. Che attendiamo con trepidazione. Un uomo in piedi accanto a una donna seduta: è il gioco biunivoco di coppia, in cui si ripete traducendo l’uno in due. L’aspetto esteriore spalancato pone in luce le viscere larvali, in questo personaggio di oggi che avanza a piedi scalzi alle periferie di un mondo-universo senza tempo.

Per concludere, il tondo Seduzione, rivisitazione in chiave moderna del giudizio acquisito di Paride o della tentazione originale di Eva, colta mentre offre ad Adamo il frutto del peccato: donna splendente dai lineamenti perfetti – un omaggio tridimensionale a Ingres – che si staglia reggendo in mano la mela (del Trentino, luogo natio di Giorgio?), ossia il pomo della tentazione biblica e della discordia mitologica, sintesi di una bellezza capace, nonostante tutto, di fruttificare salvando il mondo. Sullo sfondo, la folla del quotidiano, gente comune impegnata nelle proprie attività e quasi indifferente alla seduzione individuale, al ritmo spezzato della fede e del mito, racchiusa com’è in un presente appena passato. Un’opera in fuga, questa di Giorgio Conta, in equilibrio tra ritorni e superamento di sé stessa.